venerdì 15 aprile 2016

Homecoming - tornare a casa.

Ho sempre vissuto il blog come un viaggio. Perchè cerco sempre di raccontare una storia quando scrivo, e ogni storia la vivo un po' come un viaggio. A volte è una relazione, a volte è un'esperienza lunga e dinamica, a volte è un fallimento.
Un anno fa mi ritrasferivo a Roma dopo un anno a Londra, che per essere onesti ho vissuto come il fallimento più grosso di tutti. Ho sempre avuto problemi ad accettare la fine di qualcosa, e stavolta è stata la fine di qualcosa che avevo voluto fortemente ma che, per un milione di motivi, non era riuscita come avevo sperato. Tante colpe, tante casualità. Un anno fa tornavo da Londra con la coda tra le gambe, 7 kg in più e una grossa valigia di delusioni e lezioni da imparare.

Pensavo che il viaggio fosse finito là. "Sono andata, ho fatto, ho visto, sono tornata", un inchino al pubblico e tanti saluti a tutti. Pronti per la prossima avventura. E già mi immaginavo con un'altra valigia, stavolta piena di speranze, che mi imbarcavo verso terre lontane e ricominciavo. Altro viaggio, altro racconto sul blog.

Invece il viaggio era appena cominciato.
Ero a casa, sì, ma senza lavoro, senza prospettive, senza obiettivi e con poca esperienza. Avevo idee molto vaghe su quello che avrei fatto, ma per fortuna ero e sono ancora troppo ingenua (leggi: incosciente) da concentrarmi troppo sulle paure e rimanerne paralizzata.
Dopo i primi giorni di assestamento ("ma sei tornata? E come mai? Non ti trovavi bene? E adesso, lavori? Vivi dai tuoi? Che progetti hai?"), mi sono guardata intorno e le cose hanno iniziato ad andare al loro posto.
Per primo è arrivato il lavoro: stimolante, diverso, da "persona grande" con quel pizzico di responsabilità e intraprendenza di cui avevo disperatamente bisogno, pur non sapendolo allora.
Poi la casa, che è stata una soluzione apparentemente facile ma con anni di preparazione alle spalle che hanno compreso il farmi domande che non mi sarei fatta altrimenti, e che non mi ero mai fatta prima, ma che era arrivato il momento di farmi, come "ma io, qui, ci voglio stare?".
Poi la palestra, la dieta, le scelte di vita. Poi l'apparecchio ai denti.

Adesso sono altre le domande che mi fa la gente.
"Perchè ti sei messa l'apparecchio? Allora, come va il lavoro? Scrivi ancora? L'amore invece come va? Non ti senti un po' adolescente con l'apparecchio alla tua età?"
La differenza con prima, però, non sono le domande, ma la mia voglia di rispondere. Se un anno fa sapevo di aver fallito in qualcosa e mi sentivo di dover dare risposte alla gente, adesso difendo ogni scelta che ho fatto e ho una strada un po' più chiara davanti: quello che ho fatto l'ho fatto per un motivo, e per quello che sto facendo non devo spiegazioni a nessuno.

C'è una canzone degli Otto Ohm che dice "non torniamo più gli stessi dopo i tradimenti, la colonia estiva, l'apparecchio ai denti". Se l'avessi scritta io direbbe "non torniamo più gli stessi dopo i fallimenti, l'amore non corrisposto, l'apparecchio ai denti".
Questo è un altro viaggio. Meno letterale e fisico degli altri, più lento e subdolo, ma in un viaggio si va da A a B e ritorno, e io sto facendo la stessa cosa: devo arrivare a B per poi sapere qualcosa in più su A. Perchè poi, alla fine, il viaggio più importante è tornare a casa.

Io, un anno fa, partivo.




sabato 27 febbraio 2016

Di Caprio vincerà l'Oscar, ma non dovrebbe.


Il 28 Febbraio è proprio dietro l'angolo, e iniziano ad apparire sul web foto dell'infinito tappeto rosso di fronte al Dolby Theatre che tutte le più grandi star del cinema mondiale calcheranno tra qualche ora.

Il 2016 è stato in assoluto l'anno di cui si è parlato di più degli Oscar, soprattutto prima della cerimonia: un po' di tram-tram dopo l'assegnazione dei premi è normale (soprattutto se la Miglior Attrice Protagonista fa un capitombolo su per le scale, o se la presentatrice rompe l'internet con un selfie di 20 milioni di dollari), ma la super attenzione mediatica di quest'anno è anormale, ed è tutta a causa di Leonardo Di Caprio.


I prossimi Academy Awards vedono Leo sedere in platea come nominato nella categoria di Miglior Attore per la quinta volta. Il suo ruolo in "The Revenant" di Alejandro G. Iñárritu, che gli è valso la nomination, è intenso e totalizzante: Di Caprio veste i panni di Hugh Glass, una guida per una battuta di caccia di pelli negli Stati Uniti della prima metà dell'800, il cui fato sembra essere quello di morire al seguito dell'attacco di un grizzly, ma la cui forza di volontà e desiderio di vendetta lo spingono a rimettersi in sesto per andare a cercare l'assassino del figlio. E' una storia cruda e crudele, raccontata in modo superbo da Iñárritu, che ha insistito per non utilizzare luci artificiali e ha trascinato cast e crew in un giro del mondo alla ricerca dei paesaggi perfetti. I prodotto finale è mozzafiato: un film visualmente senza precedenti, e performance sublimi, dal protagonista Di Caprio ma anche dalla sua nemesi Tom Hardy.
Il mondo ha accolto con giubilo la notizia della quinta candidatura di Leo agli Academy Awards: già dagli scorsi anni i social network erano stati invasi da meme e supposizioni sul perchè Leo sembrava sempre sul punto di vincere un Oscar, e poi non succedeva mai.


La prima candidatura è stata nel lontano 1994, quando Di Caprio aveva soltanto vent'anni e neanche lui ci sperava a vincere un Oscar per "Buon Compleanno Mr. Grape".
Da lì in poi la carriera di Leonardo Di Caprio ha iniziato la sua ascesa all'Olimpo di Hollywood: "Titanic" lo ha consacrato per sempre agli occhi delle ragazze di tutto il mondo, e lui si è garantito il ruolo di protagonista nel film che - a parimerito con altri due - rimane il più premiato della storia con le sue 11 statuette (ma di quella come Miglior Attore Protagonista manco l'ombra).
La nomination successiva è del 2005, e di cose ne sono successe parecchie: Di Caprio ha iniziato a lavorare con i registi più influenti del mondo, da Baz Luhrman a Danny Boyle e Steven Spielberg, e ha iniziato quello che sarà un lungo sodalizio con uno di loro: "The Aviator", il film per cui riceve la sua seconda nomination agli Academy Awards, è il secondogenito del matrimonio tra Di Caprio e Martin Scorsese, un'unione che gli porterà i ruoli migliori della sua carriera e tanta fama ma, ahimé, ancora nessun Oscar.


"The Aviator", però, ha tutte le carte in regola per vincere: basato su una storia vera, il film racconta la vita dell'aviatore, produttore cinematografico e regista americano Howard Hughes. E' il ruolo perfetto per gli Academy Awards. Di Caprio regala al pubblico la performance di una vita nell'interpretare un megalomane distrutto dai disordini ossessivi compulsivi e dai deliri di onnipotenza: tra gli esperti del settore si vocifera che l'Oscar sia già suo, che non ci sono rivali. E invece ci sono, ed è proprio a causa dei rivali che Di Caprio si vede soffiare la seconda statuetta, la prima che avrebbe davvero meritato.

Ma il 2005 è l'anno di Jamie Foxx, nominato per due film, e del suo incredibile Ray Charles che, a sorpresa, gli vale un Academy Award. Di Caprio siede in platea, sconfitto, ma giovane e nel clou della sua carriera.

Due anni dopo Leo è di nuovo lì, nominato per "Blood Diamond", uno dei film più sottovalutati della storia del cinema. Quest'anno la controversia non è il fatto che Di Caprio non abbia vinto l'Oscar, che invece va a Forest Whitaker, ma che sia stato candidato per il ruolo sbagliato.
"The Departed" è candidato agli stessi Oscar come Miglior Film e Miglior Regia, due statuette che Scorsese riesce a portare a casa, e perfino la co-star di Leo Mark Wahlberg è candidata come Miglior Attore Non Protagonista. Il giorno dopo gli Academy Awards il mondo si chiede se non sia stato uno svantaggio, per lui, essere candidato per un film che non ha vinto nulla, per un ruolo in cui è brillato meno.

La carriera di Leonardo Di Caprio, comunque, continua la sua ascesa, e tra fidanzate top model e ruoli cinematografici azzeccati, nel 2014 Leo è uno degli attori più influenti, più pagati, più famosi e più bravi del mondo.
Quel 2 marzo 2014 Leo arriva al Dolby Theatre al braccio di sua madre, e siede tra le prime file della platea consapevole che gli occhi del mondo sono puntati su di lui. Il suo ruolo in "The Wolf of Wall Street", il quinto film dall'unione Di Caprio-Scorsese, gli è valso la nomination all'Oscar in uno degli anni più prolifici dal punto di vista cinematografico. La competizione, nel 2014, è spietata: nella categoria di Leo, Miglior Attore Protagonista, ci sono un premio Oscar, un pilastro del cinema americano, un inglese universalmente osannato per le sue performance e un ex attore di commedie romantiche trasformatosi in meraviglioso attore drammatico. Sono Christian Bale, Bruce Dern, Chiwetel Ejiofor e Matthew McConaughey.
Per la prima volta in molti anni, gli esperti del settore sono titubanti: sul tavolo ci sono cinque performance straordinarie, ma la lotta vera è tra Di Caprio e McConaughey, e i fattori da considerare sono tanti. Mentre Jordan Belfort, il personaggio interpretato da Leo in "The Wolf of Wall Street", è un broker assetato di soldi che si divide tra donne e droga, McConaughey è la star di un piccolo film indipendente in cui interpreta un malato di AIDS che deve scendere a patti con la malattia e con la morte. Per il ruolo, McConaughey intraprende una trasformazione fisica che lo porta dal celebre fisico statuario a un look emanciato e morente, rendendo la performance ancora più credibile.


Quando risuonano nel teatro le parole "and the Oscar goes to Matthew McConaughey" le telecamere di tutto il mondo sono puntate su Leo, che incassa il colpo con un sorriso e un cenno del capo, non lasciando trasparire nessuna emozione (è un attore, dopotutto).


E' l'ennesima sconfitta per Leo, e il mondo prende a cuore la sua causa. "Date un Oscar a Di Caprio" è un titolo onnipresente, i meme della sua reazione-non reazione sono ovunque, si elaborano le teorie più disparate sul perchè l'Academy non vuole premiare la sua bravura: Leo è diventato la vittima, e la gente ama le storie che parlano di rivalsa. Vogliamo tutti che Di Caprio vinca l'Oscar, perchè impazziamo per le storie in cui la minoranza vince e giustizia è fatta.


Flash forward ad oggi: è il 2016, e Di Caprio si accinge a calcare il red carpet del Dolby Theatre un'altra volta.
Per "The Revenant" ha lavorato sodo: girando in condizioni meterologiche estreme, perdendo peso, mangiando del fegato di bufalo e del pesce vivo, imparando lingue straniere, reggendo la pressione di un film in cui è solo sullo schermo per la maggior parte del tempo.
Il mondo intero tifa per lui: si organizzano feste in vista della sua vittoria, spuntano i videogiochi in cui per vincere si deve far arrivare Leo alla statuetta, i disinteressati leggono articoli al riguardo per arrivare preparati al giorno in cui, parlando del più e del meno con qualcuno, dovranno dire la loro.
Durante la stagione delle premiazioni che precede l'Academy, le cose sono andate esattamente come dovevano andare: la scalata di Leonardo Di Caprio all'Oscar è partita da quando ha vinto il Golden Globe, ed è stata confermata dalla vittoria ai SAG Awards e ai BAFTA. Manca soltanto l'Oscar, e i segnali ci sono tutti. Questo è il suo anno. Di Caprio vincerà l'Oscar per "The Revenant", e saremo tutti contenti. Faremo feste, i giornali stamperanno la sua foto sorridente in prima pagina, e avremo il lieto fine che tutti volevamo, perchè giustizia è stata fatta. 


Però non è vero, che giustizia è stata fatta.
Il mondo ha preso così tanto a cuore i tentativi di Di Caprio di vincere, che ha perso di vista il contesto: Leonardo Di Caprio è stato bravo, ma è davvero stato il più bravo? La sua performance in "The Revenant" è davvero la performance per cui dovrebbe vincere il premio più importante della carriera di qualsiasi attore?


Guardiamoci intorno, e vediamo chi fa compagnia a Leo nella categoria di Miglior Attore Protagonista:
- Matt Damon, un pilastro di Hollywood da trent'anni, vincitore del premio Oscar a soli diciotto anni, candidato per "The Martian";
- Bryan Cranston, il Walter White di Breaking Bad che in "Trumbo" ribadisce il suo talento come attore drammatico;
- Eddie Redmayne, il campione in carica, che interpreta il primo transessuale della storia in "The Danish Girl", ricordandoci perchè l'anno scorso l'hanno già premiato;
- Michael Fassbender, alla sua seconda nomination all'Oscar, dopo una carriera stellare che gli è valsa praticamente tutti i premi del mondo e lo status di A-lister, candidato per la sua interpretazione mozzafiato di Steve Jobs nel film omonimo.
Cinque attori, cinque performance da Oscar.
Il rischio, adesso, è che l'ago della bilancia penda verso Di Caprio per le ragioni sbagliate: alla quinta nomination, Di Caprio ha inequivocabilmente dimostrato di essere un grande attore e di meritare la statuetta... ma questo non è un premio alla carriera. Questo Oscar, che vincerà, gli sarà dato ufficialmente per il ruolo di Hugh Glass in "The Revenant", ed ufficiosamente per le sue performance in "The Aviator", "Blood Diamond", "The Departed", "The Wolf of Wall Street" e perfino "Buon Compleanno Mr. Grape".


Di Caprio vincerà perchè sarebbe uno scandalo se qualcuno gli soffiasse l'Oscar da sotto al naso per l'ennesima volta: perchè l'Academy perdererebbe credibilità e, vista la protesta #OscarsSoWhite, non si può proprio permettere passi falsi. La vittoria di Di Caprio è un grandissimo crowd-pleaser, la buona azione che fa perdonare tutti gli sbagli precedenti, e a pagare lo scotto degli sbagli dell'Academy sono gli altri candidati nella categoria di Di Caprio. Sopra tutti, paga lo scotto il legittimo vincitore dell'Academy Award per Miglior Attore Protagonista, in un universo in cui la politica e le PR contano poco e le performance contano molto: Michael Fassbender.




Nota personale: io amo Leonardo Di Caprio, e sarò davvero contenta quando vincerà. Perchè non è "se vincerà", è "quando vincerà".

Altri pronostici: Brie Larson con "Room" batte Jennifer Lawrence con "Joy", Iñárritu ce l'ha praticamente già sulla mensola del salotto, Stallone vincerà per Miglior Attore Non Protagonista (e questo è un altro scandalo: tra Tom Hardy e Mark Ruffalo non si sa chi se lo meritava di più) e Kate Winslet vincerà di nuovo, coronando una volta per tutte il mio sogno di vedere Kate e Leo - Jack e Rose - con le rispettive statuette in mano.

Buoni Oscars a tutti!





giovedì 14 gennaio 2016

Oscars 2016: le nomination

It's that time of the year!
Con i Golden Globes di domenica scorsa, la stagione degli awards è ufficialmente iniziata. 
I premi della HFPA ci avevano già lasciato presagire le nominations ai prossimi Academy Awards, che saranno presentati da Chris Rock domenica 28 febbraio. 
Grandi esclusi Tarantino e Aaron Sorkin, che invece aveva vinto proprio agli scorsi Globes.
L'Italia gioisce per la nomination di Ennio Morricone per la colonna sonora di "The Hateful Eight".
Ecco le nomination per le categorie principali:



Miglior Film

Mad Max: Fury Road
La Grande Scommessa (The Big Short)
Il Ponte delle Spie
Brooklyn
The Martian
The Revenant
Room
Spotlight




Miglior Attore Protagonista

Michael Fassbender - Steve Jobs
Leonardo Di Caprio - The Revenant
Eddie Redmayne - The Danish Girl
Bryan Cranston - Trumbo
Matt Damon - The Martian




Miglior Attrice Protagonista

Jennifer Lawrence - Joy
Cate Blanchett - Carol
Charlotte Rampling - 45 Anni
Saoirse Ronan - Brooklyn
Brie Larson - Room




Miglior Attore Non Protagonista

Christian Bale - The Big Short
Tom Hardy - The Revenant 
Mark Ruffalo - Spotlight
Mark Rylance - Il Ponte Delle Spie
Sylvester Stallone - Creed 




Miglior Attrice Non Protagonista

Jennifer Jason Leigh - The Hateful Eight
Alicia Vikander - The Danish Girl
Rooney Mara - Carol
Kate Winslet - Steve Jobs
Rachel McAdams - Spotlight




Miglior Regia

Alejandro Inarritu - The Revenant
Adam McKay - The Big Short
George Miller - Mad Max
Lenny Abrahamson - Room
Tom McCarthy - Spotlight





domenica 10 gennaio 2016

"Joy"

La corsa agli Oscar si avvicina, le nomination arrivano nei prossimi giorni e dopo i Golden Globes di stanotte avremo tutti le idee più chiare su chi saranno i protagonisti della prossima awards season. Il tempo stringe, quindi ho pensato di portarmi avanti con il lavoro ed iniziare a vedere uno dei film che non sfuggiranno sicuramente alla categoria "Miglior Film" e "Miglior Attrice Protagonista", "Joy", l'ultimo lavoro di David O. Russell. 
E' stato il primo che ho voluto vedere per tanti motivi: una spiccata simpatia per Jennifer Lawrence, la curiosità di vedere se il trittico Lawrence-Cooper-De Niro diretto da David O. Russell funziona davvero senza gli strascichi di "Silver Linings Playbook", il tema scottante del femminismo e delle power women, che quest'anno si è ripresentato all'infinito nel cinema, nella cultura pop e nella mia vita. Quindi ho visto "Joy", con tante aspettative e un pizzico di apprensione perchè "sai che film figo sarebbe, se fosse fatto bene". E infatti. "Joy" è fatto bene, per quanto "fatto bene" siano le parole di cui abusa più spesso chi di cinema non capisce un cazzo (insieme al binomio "Di Caprio-Oscar" e a "Tarantino-simaleieneèbellissimoioadorokillbillperòcertopulpfictionnonsibatteeh"). Certo che è fatto bene. David O. Russell non fa il regista dall'altroieri e, pur essendo "Joy" leggermente più tagliente e duro registicamente, non perde quella sensibiltà comunicativa che tanti altri provano invano ad imitare.

La trama del film, senza spoiler, racconta di Joy - una Jennifer Lawrence di cui è sempre impossibile indovinare l'età - e del suo viaggio da bambina ambiziosa a business woman, passando per casalinga disperata. La Lawrence in "Joy" dimostra ancora una volta agli scettici che il talento sostituisce l'esperienza, che comunque inizia a non mancarle, e che la sua bravura eccezionale non si vede soltanto "nei panni della pazza". Tira fuori una fragilità tangibile, che riesce a far immedesimare ed emozionare non soltanto le donne. 
 Un filino sopravvalutato De Niro nei panni del padre di Joy, poco presente Bradley Cooper (anche se è innegabile la chimica sullo schermo tra lui e Jennifer Lawrence, motivo palese per cui O. Russell continua ad unirli anche in vesti molto diverse da quelle romantiche). Ma, personalmente, quello che ho più apprezzato di "Joy" era quello che pensavo: la storia di una donna intelligente, forte e senza paura. Una storia femminista che non si vanta del suo femminismo, ma lo spiega e lo mostra attraverso gli alti e bassi di chi lo ha fatto, il femminismo. Quel femminismo che non è sinonimo di disprezzo o finta indipendenza, ma che riesce ad accendere la speranza che la società si muova verso un domani in cui le pari opportunità non sono soltanto una frase fatta con cui ci si riempie la bocca. 


Se vi serve un buon motivo per andare a vedere "Joy", nei cinema dal 28 gennaio, e non vi basta la regia ottima, il cast stellare e la storia coinvolgente, almeno andateci perchè così se malauguratamente J. Law si ritrovasse con la statuetta in mano, voi sapreste il perchè.


 

martedì 5 gennaio 2016

Una lettera d'amore

Ti ricordi quando, aspettando lui che non arrivava, ti imploravi di ricordare tutto il dolore?
Lo sentivi nelle ossa, nelle vene, nelle vertebre e nella pancia, ma lo sentivi soprattutto nel cuore. 
Quel cuore che hanno calpestato, spezzato, deriso e abusato, ma che è rimasto immacolato. Perchè un cuore cosí non ce la fa a sporcarsi davvero. 
Quante volte l'hai dipinto di rosso sperando di scoraggiare il prossimo dall'avvicinarsi? Eppure la vernice si scrosta, il colore sbiadisce e risalta sempre il bianco di fondo.
Quando hai un cuore bianco, non c'è abbastanza male nel mondo per cambiarlo.

Lo so che vorresti spiegargli quello che hai sentito: che la tua pancia non brontola mai e che era bello voler far felice qualcun'altro per una volta. Che non succedeva da anni e quando le cose sono cosí rare acquistano un peso specifico importante.
Lo so che vi avevi già visti felici e complici, tu e la tua fervida immaginazione. Lo so che adesso ti sembra che tutto quel bene, se non va a lui, andrà sprecato. Lo so che è un peccato.

Quante cose ti rimproveri? Già ti sento.
"Mi sono esposta troppo."
"Ingenua come al solito."
"Avrei dovuto dar retta a tutti gli altri."
Ma non hai sbagliato.
Come puoi rimproverare a chiunque di aver fatto qualcosa, qualsiasi cosa, con il 130% della convinzione e della speranza umanamente possibile?
Non perdere lo slancio, la voglia di metterci tutto. È quello che la gente ti invidia, tutti quelli di "chi si accontenta gode".
Non ascoltarli mai.


Perditi nelle cose. Corri ogni rischio, se anche ce una sola possibilità che ne valga la pena.
Se la pancia parla, ascoltala. Buttati di nuovo. Ignora tutti i consigli. Credici finchè l'impossibilità dell'impresa non è nitida e inequivocabile, nero su bianco.
Spera finchè non capisci che è persa, e poi piangi. Stai male, struggiti, disperati.
Ogni cosa che ha coinvolto il tuo spirito merita tutte le lacrime che hai, quando sfuma. Maledici te stessa e il tuo cuore bianco, prova a costruire una corazza e poi, se lo senti, buttala giú appena senti il cuore battere di nuovo.
Perdonali. Perdona te stessa, poi credici di nuovo.


Ti maledirai ogni volta, fino alla volta buona.
Quella in cui lui si redime e vissero per sempre felici e contenti. Quella in cui trovi qualcuno a cui dare l'universo che sai dare... La volta buona. 
Perchè alla fine vanno tutte male, finchè una non va bene. È solo allora che ti rendi conto che, in fondo, ne bastava una sola. Una volta buona.
Ogni volta cattiva ti porta un tentativo piú vicina alla volta buona. Continua a credere.

Non giustificare chi ti fa male, non immedesimarti e non fabbricare scuse: perdonali e basta. Quello che per te è uno sbaglio potrebbe essere la loro volta buona.
Concediti di fare il tifo per loro, nella loro ricerca della felicità. Male che vada, è buon karma. 
Peró lascia andare la rabbia e la delusione, sarebbero zavorre inutili e tu hai ancora una lunga strada da fare. 
Viaggia leggera.


Cambia rotta, poi torna sui tuoi passi. Contraddiciti, metti in discussione la tua opinione, ma mai il tuo cuore. Lui è bianco e non si sbaglia mai. 
Tutto il resto è soggetto a cambiamenti costanti, non combatterli.

Prenditi le tue soddisfazioni.
Prenditi i tuoi spazi.
Prenditi le tue libertà.
E se vuoi altro, prenditi il privilegio di chiederlo.

Sei meravigliosa nella tua trasparenza, prego che nessuno riesca mai ad usarla contro di te. Quando, oltre le increspature di un mare in tempesta, qualcuno riesce a vedere la totalità con cui ami, non ti si lascia piú andare.

Avvicinati troppo, riduci la distanza di sicurezza: non c'è male che potresti farti che riuscirebbe a cambiarti. Tieniti stretto il tuo cuore bianco, perchè riflette la tua luce sulle vite degli altri.
Ma adesso piangi, ascolta il dolore della speranza che si dilegua. Poi scordalo in fretta, e ricomincia.



mercoledì 14 ottobre 2015

Luna Park

Da dove viene il coraggio? Da dove parte, nel cervello, quello stimolo che ci spinge a fare qualcosa, quel passo in più che fa paura, ma che forse, un domani, porta alla felicità? O almeno alla non-infelicità?
Mi manca il coraggio che mi costringe ad insistere di fronte al più piccolo dei contrattempi. Il computer che è lontano. L’orologio che mi ricorda che tra meno di sette ore devo essere in piedi di nuovo, e affrontare altre facce, altre discussioni. La password che mi dimentico sempre. Tutto è una complicazione, tutto va bene purchè mi costringa a non concretizzare il sospetto che di fronte a una pagina bianca io sono impotente, vuota, inadeguata.
Forse mi manca così tanto perché lo conosco, una volta quel coraggio c’era. Non vanificava solo il tentativo dei contrattempi deboli, ma era la mia forza di fronte a qualsiasi tipo di avversità. Il computer che non era neanche il mio. L’orologio che mi ricordava che tra meno di tre ore avrei dovuto essere in piedi di nuovo, e affrontare altre facce, altre discussioni. La password che non ne voleva sapere di funzionare.
Mi manca il coraggio di sapere se è questa o no la mia dimensione: quella che mi porta di fronte a una pagina bianca, armata solo di qualche idea e di un briciolo di coraggio. E’ questo che voglio fare, confrontarmi ogni giorno con i miei sospetti e le mie paure? E’ la paura di uscirne sconfitta che mi impedisce di provare a provare?
L’unica cosa che si frappone tra me e quello che voglio fare sono io. Sono la motivazione e il deterrente insieme, e da tanto tempo il deterrente è troppo convincente. E’ perché non lo penso che non lo scrivo, o devo scriverlo per poterlo pensare?

Una persona più saggia di me una volta mi ha detto, in un modo che ai tempi avevo trovato brusco ma che forse, col senno di poi, lo era troppo poco, che dovevo scegliere un obiettivo, perché una persona, senza mira, si perde.
Ai tempi mi aveva fatto paura. Mi aveva ricordato una frase che ha detto una volta un’altra persona più saggia di me: “I’m intimidated by the fear of being average”. Però io, ai tempi, avevo soltanto un po’ di ansia lontana di essere nella media. Ironia della sorte, qualsiasi cosa io abbia fatto da quel momento in poi non ha fatto altro che confermare quella paura astratta finchè non è diventata un orrore quotidiano e paralizzante.
Adesso so che l’unica cosa che mi renderebbe diversa dalla media sarebbe fare qualcosa, eppure non sto facendo niente.
Sto dando consapevolmente a me stessa la possibilità di fare quello che non permetterei a nessun altro di farmi: fermarmi. Impedirmi di essere quello che vorrei, di fare quello che vorrei e di essere felice.
Sono intrappolata nel bosco in cui mi sono persa. Sono il coniglio che ha seguito il Bianconiglio nel bosco e poi non ha avuto il coraggio di entrare nel Paese delle Meraviglie. E sono anche il lupo che segue il coniglio in silenzio, e non lo perde mai d’occhio aspettando il momento giusto per attaccare e mangiarselo.
La parte peggiore è che il bosco è magico: è un posto bello, verde e pieno di sole in cui vivono tanti conigli e si sta, tutto sommato, abbastanza bene, ma un attimo dopo è improvvisamente diventato una foresta buia e insidiosa, gli occhi del lupo brillano nell’oscurità e quanto vorrei aver seguito il Bianconiglio, perché ovunque sarebbe meglio di questo maledetto bosco.
E poi eccola: la tana, la via di fuga, la salvezza. La porta che mi porterebbe alla luce. Però dovrei entrare nel Paese delle Meraviglie, e io non lo so cosa succede nel Paese delle Meraviglie. Potrei perdermi di nuovo, avere più paura di quanta ne ho adesso. Potrei non farcela ad arrivare dall’altra parte. Potrei inciampare al primo ostacolo e rimpiangere di non essere rimasta nel bosco, perché quando non era buio, in fondo, il bosco non era poi tanto male.
Gli occhi del lupo mi osservano mentre scelgo ogni volta di rimanere nel bosco, e si avvicinano ogni giorno. A volte, se lo guardo bene, mi sembra che il lupo mi stia implorando di saltare nella tana del Bianconiglio. Il suo sguardo inquisitorio fa il tifo per me, perché il lupo preferirebbe che io mi perda nel Paese delle Meraviglie, con la speranza di vedere un giorno la luce, altrimenti il lupo dovrebbe mangiarmi.
Il lupo non vuole mangiarmi ma io preferisco comunque aspettare che sia costretto a farlo, invece di saltare e avere una possibilità di salvarmi.

Se non lo faccio a cosa sono servite le ore passate di fronte a uno schermo nel cuore della notte? Perché tutte quelle occasioni buttate per fare solo questo? Perché le esperienze, perché le emozioni, perché la voglia di raccontarle? Che senso ha avuto tutto, se non lo scrivo?
Che senso ho io, se non scrivo?


Questo è quello che voglio ricordare, quando il computer è lontano, l’orologio mi ricorda l’orario improponibile e la password non vuole funzionare. Il brivido della passione che diventa qualcosa di innegabile, che mi guarda nero su bianco. La consapevolezza che la paura non è altro che un cagnolone dagli occhi buoni che mi guarda spronandomi a salvarmi. La curiosità per il Paese delle Meraviglie, che forse è pericoloso ma forse, perché no, è un luna park. La certezza che un solo secondo vissuto dall’altra parte è meglio di un anno da coniglio, perché il bosco non è poi così male, ma “non è poi così male” non è quello che voglio. Io ero venuta per il luna park.



lunedì 6 luglio 2015

"Vada come vada..."

Io non ci penso mai a come sarebbe potuta andare.
Dicono sia deleterio, dicono che "ma" e "se" erano due fessi che giravano per il mondo, e che comunque non lo saprai mai cosa avrebbe potuto essere e e chiedertelo non fa che farti stare male. Dicono che non si debba fare, e forse hanno ragione.
Poi succede qualcosa: un incontro fortuito in una piazza sconosciuta del centro di Roma, un vecchio hard disk che sembra essere il vaso di Pandora, una foto storta appesa al muro, una lettera scritta e mai consegnata.
Allora ci penso, a come sarebbe potuta andare. Penso che di certe cose ci facciamo una ragione, di altre no. 
Mi chiedo dove vada a finire tutto il bene, quando poi non ce lo si scambia più.

Il cervello umano è incredibile: tiene tutto, non butta mai via niente, soltanto lo nasconde dove tu non puoi arrivarci, in qualche dimenticatoio inaccessibile che forse esiste per proteggerti. Come mia madre. 
Poi basta un niente ed eccolo: ti ricordi tutto. La chiave che apre il dimenticatoio è sempre qualcosa di banale, una canzone, un odore, due o tre parole messe bene in fila. Ti chiedi come avevi fatto a dimenticare.

A sedici anni mi sembrava tutto indimenticabile. Ogni secondo, ogni serata, ogni parola detta da un amico. Vivevo tranquilla, certa che avrei ricordato tutto per sempre. 
Il rumore dei motorini e delle moto, e sapere sempre chi stesse arrivando prima che girasse la curva. I soprannomi incomprensibili e quelli scontati. Li litigate infinite con i miei, perchè io scalpitavo per tutto e loro non mi vedevano pronta... e avevano ragione. Il telefono che squilla a tutte le ore, chissà quante cose avevamo da dirci, ora sembra assurdo parlare con una persona per sei ore ed attaccare solo perchè "ci vediamo tra dieci minuti". 
La spontaneità delle emozioni, dirsi "ti voglio bene" senza pensarci due volte. Fare tutto, tutto, tutto, solo perchè fa stare bene qualcun altro. Non dire mai "che palle" o "non mi va", non farsi problemi inutili sul "chi esce?" perchè qualcuno c'era sempre e vogliamo bene a tutti. Le sorprese, i regali, venti chilometri per un abbraccio. Ora mi chiedo se sarei capace a volere così bene a qualcuno, a lasciare che qualcuno voglia così bene a me, senza vederci alcuna malizia, nessun secondo fine. 

Quando poi i rapporti si deteriorano, quando le persone si allontanano, dove va a finire tutto il bene?
Per fortuna questo è il 2015 e ci sono mille modi per sapere una persona come sta, che sta facendo, in quale parte del mondo vive. Ci sono persone che non sento da anni eppure mi sembra di aver appena finito di parlarci su una chat di msn. Nel frattempo sono cresciuti, si sono laureati, sono emigrati, hanno fatto viaggi, avuto relazioni, cambiato case, hanno vinto e perso, hanno sofferto. 
Vedo le foto e penso che quei ragazzini sono diventati uomini... anche se a me sono sempre sembrati uomini. 
Siamo così vicini, eppure così lontani. Troppo lontani per trovare il coraggio di scrivere "ciao, come stai" oppure "oggi ti pensavo, ho un pupazzo gigante in camera che mi impedisce di scordarmi di te". O ancora "ti ricordi di quel giorno che siamo andati al lago", "non riesco a sentire questa canzone senza pensarvi", e la più gettonata "ciao, mi manchi... tu ci pensi mai?".
Quanto è difficile tendere una mano, quando non hai la certezza assoluta che qualcuno dall'altra parte la afferrerà. Quanto abbiamo paura di farci male, quanto ci spaventano quei lividi sull'orgoglio. Io mi piacevo molto di più quando dicevo la prima cosa che mi passava per la testa, non ero avida di dimostrazioni d'affetto e mi sarei fatta sparare per un amico.
Dove è andato finire tutto questo bene?


Dicono che, quando qualcosa finisce, sia più facile elaborare la perdita se si ha qualcuno a cui dare la colpa. 
Ci abbiamo provato per anni: abbiamo tirato su un polverone e abbiamo addossato tutte le colpe addosso a qualcuno forse soltanto perchè non sapevamo a chi altro darle. Era più facile mettere una la foto di qualcun altro al centro del bersaglio, che la nostra.
Perchè poi ci pensi, ci ripensi, continui a ripensarci e arrivi alla conclusione che in fondo potresti incolpare tutti, ma dovresti incolpare te stessa. 
Siamo state noi, abbiamo mollato troppo presto. Non abbiamo insistito abbastanza, non l'abbiamo gestita bene. Eravamo arrabbiate, eravamo ferite ed avevamo paura, ma è colpa nostra, dovevamo tenere duro.


Questo è quello che cambierei, se potessi tornare indietro.
Adesso è più difficile, non dipende più soltanto da noi, le persone cambiano. Forse quel bene che noi continuiamo a sentire, dall'altra parte non c'è più. Forse si è trasformato in un "tante belle cose" scritto su un biglietto di auguri e poi lasciato lì.
Però questo è quello che vorrei ancora cambiare, perchè ancora si può. A me, eterna ottimista, non spaventano un paio di porte in faccia e un orgoglio un po' ammaccato... Mi spaventa molto di più avere qualcosa da dire, avere ancora un po' di bene da dare, e non poterlo fare più. Perchè la vita cambia, la gente se ne va, a volte in posti dove non possiamo andarcela a riprendere, e quella secondo me è l'unica vera fine.

E noi si era detto "vada come vada, tutti insieme fino alla fine".






"And it's happened once again
I'll turn to a friend
Someone that understands
Sees through the master plan

But everybody's gone
And I've been here for too long
To face this on my own
Well I guess this is growing up"